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"Il futuro appartiene a coloro che credono nella bellezza dei propri sogni."
(Eleanor Roosevelt)



venerdì 12 luglio 2013

Ogm, cosa aspettano ad agire?

Ogm: cosa aspetta il Governo ad agire?

Tema trattato: OGM

Fonte: Greenpeace

05/07/2013 - 


Continua la battaglia per evitare che la bravata di Giorgio Fidenato non diventi una catastrofe e oggi Greenpeace sarà davanti alla sede di rappresentanza del ministero della Salute per chiedere al Ministro Lorenzin di firmare finalmente il decreto - pronto da tempo - per bloccare gli Ogm a tutela della biodiversità e dell’agricoltura italiana.

Vi rinfreschiamo la memoria: il 15 giugno l’agricoltore Giorgio Fidenato ha seminato a Vivaro (in Friuli) una partita importante (6000 mq) di mais Ogm, il MON810 della Monsanto. Il rischio, oltre alla contaminazione di colture convenzionali e bio, è che l’operazione venga ripetuta in altre Regioni. Nonostante le numerose dichiarazioni, ancora nessuno dei Ministri competenti ha adottato misure idonee a bloccare la contaminazione in corso e a vietare definitivamente la coltivazione di Ogm in Italia.

Vi ricordiamo che sia il Senato sia la Camera hanno firmato mozioni unitarie per impegnare il Governo a vietare la coltivazione di Ogm. I Ministri De Girolamo, Orlando e Lorenzin sono le autorità in grado di procedere in materia. In particolare, sulla scrivania del ministro della Salute Beatrice Lorenzin, sosta da settimane il dossier che permettere l’adozione di misure emergenziali per fermare queste semine. Grazie all’impegno della task force Liberi da Ogm, in pochi giorni, attraverso il sitowww.StopOgm.org, oltre 55 mila persone hanno inviato un messaggio chiaro al ministro della Salute. Per farlo, al Ministro Lorenzin basta firmare il decreto che attiva le misure di emergenza contro il mais MON810, così da vietarne la coltivazione e tutelare il modello economico e sociale di sviluppo dell'agroalimentare italiano.

«Cosa aspetta il ministro ad agire? Non rimane molto tempo prima che le piantine di mais giungano a fioritura e quindi alla fase impollinazione con tutti i rischi che ne conseguono. Per non parlare di quello di emulazione»

Gli Ogm in campo agroalimentare rimangono un mercato di nicchia, in gran parte limitato al continente americano. L'80 per cento circa delle colture Gm è limitata a quattro Paesi - Stati Uniti, Brasile, Argentina e Canada, mentre in Europa non riescono a farsi strada. La Spagna è l'unico Paese dove persiste una vera e propria coltivazione di mais Gm, mentre l’agricoltura biologica è in costante aumento nel vecchio continente. Che cosa c’entrano dunque queste colture con il nostro modello di produzione agricola basata sulla tipicità e la qualità? Cosa c’entrano con la richiesta dei consumatori italiani che vogliono prodotti sani, che rispettino la nostra diversità?

Dopo 16 anni di commercializzazione, tre quarti delle colture gm in campo sono progettate per essere tolleranti agli erbicidi prodotti dalle stesse aziende che le commercializzano. Non incrementano le rese, ma l'uso di prodotti chimici e fanno aumentare i profitti e il controllo sul cibo di una manciata di multinazionali.

«Non si tratta della solita polemica Ogm sì, Ogm no. Si tratta di decidere sul futuro del nostro cibo e della nostra agricoltura. L’Italia vive della qualità dei suoi prodotti che non è fatta di numeri, sigle e resistenza a malattie o erbicidi. La qualità è fatta di legami con un territorio, relazioni con la cultura di una comunità, coerenza con un determinato clima, sapienze antiche sulle quali innestare innovazione e creatività, identità. Cosa c’entra tutto questo con le coltivazioni geneticamente modificate?»


giovedì 11 luglio 2013

Quando fermeremo davvero il consumo di suolo in Italia?

08/07/2013 - 


Per quanti hanno a cuore la difesa del paesaggio e dei suoli liberi, il documento diffuso il 4 luglio da Fillea Cgil e Forum italiano dei movimenti per la terra e il paesaggio è un fatto storico.
Il più grande sindacato italiano della filiera delle costruzioni (che conta più di 300 mila iscritti) e il Forum (che raggruppa 911 organizzazioni nazionali e locali attive in difesa del patrimonio paesaggistico italiano) annunciano con un comunicato stampa di aver siglato un documento congiunto all’interno del quale indicano con chiarezza una strada: stop definitivo alle nuove edificazioni su terreni liberi e azione decisa per il recupero del vasto patrimonio edilizio esistente e ad oggi non utilizzato o sfitto, restituendo ai territori la centralità di un primario ruolo nella ridefinizione delle pianificazioni urbanistiche.
Negli scorsi mesi anche altre realtà “insospettabili” si erano avvicinate al Forum e alle sue posizioni (una su tutte il Consiglio nazionale dei geometri e geometri laureati), a dimostrazione del fatto che la sensibilità sul tema del consumo di suolo tocca ormai non solo tutta l’Italia ma anche diverse categorie economiche e sociali e persino alcuni tra i più forti “portatori di interesse” del settore delle costruzioni.
E’ evidente a tutti che consumare suolo non è più una ricetta economica valida: siamo pieni di edifici vuoti, sfitti, inutilizzati. Costruire oggi significa solo ingrassare quelle liste. Vivo in un angolo d’Italia in cui la ricchezza è sicuramente sopra la media nazionale e da almeno due anni chi costruisce nuove case e palazzi non riesce a vendere nemmeno la metà del costruito, che si tratti di edifici di pregio o costruzioni popolari.


La crisi ha fatto cambiare idea a molti, quasi a tutti. E finalmente si riesce a sentire la voce di chi sostiene che paesaggio, bellezza, agricoltura, ambiente sono le risorse su cui fondare la parte principale dell’economia nazionale di questo ventunesimo secolo.
Eppure siamo ancora fermi al palo con i provvedimenti di legge. Non che manchino le proposte, anzi sono persino troppe quelle depositate in Parlamento, in questo momento. La più discussa e contestata è la cosiddetta Realacci, dal nome dell’onorevole del PD che ne è il primo firmatario. E’ stata “abbandonata” persino da alcuni dei suoi proponenti e moltissime voci della società civile l’hanno stroncata. Bisogna però riconoscerle un merito: ha dato una improvvisa accelerata al dibattito e ha fatto spuntare una serie di altre proposte tra cui si leggono interessanti alternative. Dal Movimento 5 Stelle a SEL, sino alla proposta extraparlamentare del Wwf, tutte sono migliorabili ma tutte sono migliori della proposta Realacci. Anche il Forum sta lavorando a una proposta di legge di iniziativa popolare.

Il punto è che non si può pensare a un compromesso al ribasso, non si può ancora considerare il consumo di suolo una materia su cui è bene non “disturbare” qualcuno degli attori protagonisti (i costruttori in primis). Ed è per questo che la posizione assunta da Fillea ha un grande valore in questo momento.
L’unica proposta di legge possibile oggi è una proposta di legge che stoppa il consumo di suolo (riconoscendone il valore di bene comune, anche al di là e al di sopra della proprietà privata individuale), che orienta gli investimenti e l’attività sul recupero e la messa in efficienza (in primis energetica) del patrimonio esistente.
Non mancano le cose da fare nel settore dell’edilizia in Italia,  è solo ora di dire con determinazione e senza indugi che il lavoro dei prossimi 50 anni (dopo 50 anni in cui non abbiamo costruito pressoché nulla di bello) è nel rifare e migliorare l’esistente e non nel costruire ex novo sopra.

Roberto Burdese
r.burdese@slowfood.it
Dal Blog del Fatto Quotidiano


martedì 4 giugno 2013

L'UOMO CHE DA SOLO PIANTO' UNA FORESTA DI 550 ETTARI

Benvenuti nella categoria delle buone notizie! Per chi,come me, non ne può più delle cattive notizie che ci propinano i media continuamente. Mi sono detta: qui ci vuole un po' di ottimismo! E allora diamo il via ad una nuova rubrica del mio blog: LE BUONE NOTIZIE!

L'UOMO CHE DA SOLO PIANTO' UNA FORESTA DI 550 ETTARI
Articolo Scritto da Verdiana Amorosi
Fonte www.greenme.it
renta anni fa piantò dei semi in una terra brulla e dimenticata dall'uomo per creare un eco-sistema in grado di ospitare piante e animali in via di estinzione. Oggi è diventato un eroe per aver costruito da solo una foresta di 550 ettari ricca di vegetazione e animali.
E' successo in India, nella regione settentrionale di Assam, dove tre decadi fa, un giovane di nomeJadav "Molai" Payeng decise di creare un habitat adatto ad ospitare gli animali della sua zona, sempre più colpiti dall'inaridimento delle terre e dall'urbanizzazione.
Ma quello che per Payeng era inizialmente un semplice passatempo si è trasformato presto in una vera e propria missione: costruire una foresta per creare un nuovo ecosistema. E così – lasciata la sua casa – il giovane indiano si è trasferito sul posto, per vivere in una piccola abitazione nel verde ed essere così più vicino alla sua impresa quotidiana, che oggi - con un totale di 550 ettari di rigogliosa foresta - è finalmente compiuta.
Nei giorni scorsi, il quotidiano "Times of India" ha raggiunto Payeng nella sua casa tra gli alberi per capire cosa lo avesse spinto ad intraprendere un lavoro tanto impegnativo quanto originale.
Tutto ebbe inizio nel 1979, quando alcune violente inondazioni portarono nella zona morte e distruzione: migliaia di piante furono devastate e gli animali uccisi.
"I serpenti sono morti per il caldo, perché non avevano nessun albero sotto cui ripararsi. Mi sedetti e piansi sopra le loro carcasse senza vita. E' stata una carneficina, così ho allertato il dipartimento forestale e ho chiesto loro se in quel punto potevano crescere alberi. Non mi hanno saputo dire nulla, ma intanto mi hanno suggerito di fare un primo tentativo con i bambù e così ho fatto. Non c'era nessuno ad aiutarmi – ha continuato Payeng che ora ha 47 anni - nessuno era interessato".
Grazie alla nascita della foresta, la fauna selvatica è tornata a popolare la zona e oggi può vivere in tranquillità in un nuovo equilibrio ecologico, dove Payeng ha riportato anche le formiche: la foresta chiamata Molai, ora è un porto sicuro per numerosi uccelli, cervi, rinoceronti, tigri, elefanti. Specie che rischiano ogni giorno di più di perdere il loro habitat naturale.
Ma lo Stato indiano avrà riconosciuto qualcosa a Payeng?
Niente affatto. Gli elogi sono arrivati solo dai funzionari forestali, che nel 2008 hanno scoperto la sua magnifica impresa:
"Siamo stupiti Payeng – ha detto il direttore del dipartimento di protezione delle foreste Gunin Saikia. - Se fosse stato in qualsiasi altro paese, sarebbe diventato un eroe".

martedì 2 aprile 2013

È tempo di carciofi senza spine | Slow Food - Buono, Pulito e Giusto.

Fonte: | Slow Food - Buono, Pulito e Giusto.

02/04/2013 - La primavera si fa attendere e vannoa ncora per la maggirore catalogne, cime di rapa, coste e cavolfiori. In questa situazione atipica, il consiglio va sui carciofi primaverili


Con il persistere del freddo in tutta Europa, cosa strana per fine marzo soprattutto nel Sud Italia, si profila una stagione sicuramente poco abbondante per la frutta. C’è un grosso ritardo nella fioritura, in Puglia addirittura ci sono ancora state delle gelate, e tutto fa pensare che la prossima campagna di pesche e albicocche sarà molto deludente in termini quantitativi: aspettiamoci prezzi più alti e una qualità media non eccelsa.

Il freddo è anche un elemento che al mercato orienta i gusti della domanda: non ci si sente ancora veramente in primavera e così continuano a essere vendute in maniera importante le verdure che gli operatori chiamano “cotte”, quelle da cucinare e non da mangiare crude. Così, anche se siamo a Pasqua, stanno ancora andando per la maggiore le catalogne, le cime di rapa, le coste e i cavolfiori, quando di solito in questo periodo avrebbero già esaurito il loro appeal commerciale.

In questa situazione atipica, il consiglio va comunque sui carciofi primaverili, le mammole delle varietà senza spine dette “inermi”, come il carciofo romanesco le cui due varietà principali sono il “Campagnano” e il “Castellammare”. Sono perfetti per le tipiche ricette romane, per una torta pasqualina o come contorno. Il freddo e gli sbalzi di temperatura di solito rendono più teneri i carciofi e così se da un lato si trovano ancora degli spinosi buoni (ad Albenga, in Sardegna o lo spinoso di Menfi in Sicilia, ottimo Presidio Slow Food) anche le prime produzioni delle varietà tipiche della bella stagione un po’ si avvantaggiano. Mammola o cimarolo non sono i nomi di due varietà, ma il primo getto centrale della pianta, quello più tenero che consente anche di consumare quasi tutto il gambo. Sono i carciofi di “primo taglio” che di solito costano di più ma che tuttavia si stanno vendendo a prezzi non esagerati, a partire da un euro l’uno. Si trovano anche già i getti secondari, che costano meno (50 o 60 centesimi l’uno) ma che, visto il meteo, sono comunque di buonissima qualità.

Questi carciofi provengono in gran parte da Campagna e Lazio. Ora ci sono due Presidi Slow Food in piena produzione e sono entrambi campani: il violetto di Castellammare (Na), una primizia che però nel periodo pasquale è al top, e il bianco di Pertosa (Sa), quasi argenteo, che tra l’altro resiste benissimo a questa basse temperature

Di Carlo Bogliotti - La Stampa 30/03/12
In foto: carciofo di Menfi ® Francesco Sottile

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martedì 5 febbraio 2013

Alla scoperta delle tradizioni carnevalesche con Slow Food

01/02/2013 - Alla scoperta delle tradizioni carnevalesche
Fonte www.slowfood.it


L’inizio di questo mese ci porta a spasso tra le tradizioni della nostra penisola per scoprire le dolci golosità della festa più colorata e divertente dell’anno: Carnevale. Le frittelle sono certamente le regine di questo periodo, declinate in mille varianti, a seconda dell’impasto di base da cui si parte, ma che in comune hanno il metodo con cui si cuociono: la frittura. La ricetta più diffusa e conosciuta è sicuramente quella delle chiacchiere, a base di farina, zucchero, burro e uova che, tirato a sfoglia e tagliato a strisce, losanghe, annodato o a fiocco viene immerso in olio bollente e spolverato di zucchero. Praticamente in ogni regione ne esiste una variante: bugie in Piemonte, lattughe in Lombardia, galani a Venezia, crostoli a Treviso, frappe e sfrappole in Emilia, cenci e donzelline in Toscana...Se la pasta invece di essere stesa viene lavorata a piccole palline, e spesso arricchita di dolci ripieni, diventa castagnola in Piemonte, fritola in Veneto o tortello dolce in Emilia Romagna.

Per chi non ama i fritti, la tradizione regala comunque ottime varianti: biscotti come i risulèn mantovani, nel cui impasto si aggiunge il vino bianco, gli scroccafusi marchigiani, che sostituiscono il vino con un liquore, il mistrà, i pugliesi taralli dolci al naspro, una glassa profumata di limone o la schiacciata dolce fiorentina, che oggi viene preparata anche in altri momenti dell’anno, ma solo in questo periodo appare nelle vetrine di tutti i forni e le pasticcerie di Firenze.

Il consiglioIl trucco per fritti croccanti e dorati? L’olio ben caldo, che coagula la superficie all’istante formando un guscio impenetrabile che lascia l’interno morbido e asciutto. Se non siete sicuri che l’olio sia a temperatura giusta, immergetevi un piccolo pezzo di pane: se si formano delle bollicine tutto intorno vuol dire che è pronto! Scegliete sempre oli che sopportino bene le alte temperature e abbiano un punto di fumo (temperatura oltre la quale il grasso alimentare comincia a bruciare, sprigionando sostanze nocive) molto alto, così anche un piatto goloso e ricco risulterà sano e digeribile.

Le ricettePer accontentare tutti i palati, una ricetta fritta e una al forno e una doppia versione delle più classiche castagnole. Buon appetito!

Giggi, Mattea Magistri, MessinaI giggi, dolcetti tipici delle Isole Eolie, fanno parte della folta schiera di frittelle che, in tutta Italia, a Carnevale, sono tuffate nell’olio di oliva bollente, asciugate e immerse nello zucchero semolato o spolverate di zucchero a velo.
Ingredienti:1 kg di farina di frumento, 6 tuorli d’uovozucchero semolato, 1 bicchiere di Malvasia5 bicchieri di vino cotto, olio di oliva150 gr di burro, cannella in polvere, un pizzico di saleTempo di preparazione e cottura: un’ora, più il riposoSistemate a fontana la farina, mettete nella conca centrale il burro a pezzetti, i tuorli d’uovo, quattro cucchiai di zucchero, il sale e incominciate a lavorare, aggiungendo la Malvasia poco alla volta. Amalgamate bene tutti gli ingredienti e, ottenuto un impasto omogeneo e morbido, lasciate riposare per un’ora. Modellate tanti bastoncini di pasta di circa un centimetro di diametro, che taglierete in pezzetti lunghi due o tre centimetri. Friggeteli in abbondante olio di oliva, asciugate su carta assorbente e immergeteli in una casseruola in cui avrete portato a ebollizione il vino cotto. Lasciateli alcuni minuti, scolateli e passateli nello zucchero aromatizzato con la cannella.

Berlingozzo, Pasticceria Carli, Lamporecchio (Pistoia)Molto antico e originariamente legato al Carnevale, il berlingozzo (toscano, in particolare pistoiese) oggi si consuma inzuppato nel caffelatte a colazione o intinto nel Vin Santo a fine pasto.
Ingredienti:900 gr di farina di frumento di tipo 0, 6 uova intere e 6 tuorli1 kg di zucchero, essenza di aniceTempo di preparazione e cottura: 40 minutiBattete insieme i tuorli e le uova intere. Aggiungete quindi lo zucchero e l’aroma di anice, quindi incorporate pian piano la farina (la pasticceria di Lamporecchio usa una farina di tipo “debole”, più adatta di altre a questo tipo di dolce). Quando l’impasto raggiunge una consistenza media, ricavate un grosso cilindro lungo 40 centimetri. Adagiatelo su un foglio di carta da forno e richiudetelo a ciambella. Cuocete in forno per 20-25 minuti a 190°C.

Tratte da Le ricette di Osterie d’Italia, Slow Food Editore

Castagnole, Marina Marini, ForlìIngredienti:500 gr di farina di frumento tipo 00, 16 g di lievito3 uova, 6 cucchiai di zucchero semolato2 bicchierini di Cognac, il succo di mezzo limone25 gr di burro, 4 cucchiai di olio di oliva0,5 gr di vanillina, un pizzico di salePer la frittura e la finitura: zucchero semolato o alchermes olio di olivaTempo di preparazione e cottura: un’oraPer le castagnole fritte, ponete in una terrina la farina, lo zucchero, il burro fuso a bagnomaria e lasciato intiepidire, l’olio, il succo di limone e il Cognac. Amalgamate il tutto, ottenendo un impasto piuttosto asciutto. A parte montate a neve fermissima gli albumi d’uovo con l’aggiunta di un pizzico di sale. Unite all’impasto dapprima i tuorli, rigirando con cura, poi, delicatamente, gli albumi, la vanillina e, per ultimo, il lievito setacciato. L’impasto finale deve avere una consistenza media, tale da poter essere porzionato con un cucchiaino. In una larga padella dai bordi piuttosto alti fate scaldare abbondante olio e calate, poche alla volta, le palline di impasto, usando un cucchiaino come dosatore. Fatele dorare da entrambi i lati rigirandole spesso, scolate e mettetele ad asciugare su carta assorbente. Adagiate le castagnole ancora calde in un largo vassoio. Spolverate con zucchero semolato o, se preferite, irrorate con alchermes. Nella versione al forno la procedura per l’impasto resta la stessa, ma agli ingredienti si aggiungono anche 20 grammi di fecola di patate e cinque cucchiai di latte; il burro sale a 30 grammi e il Cognac è sostituito da un bicchierino di liquore più dolce, di solito al limone. L’impasto, suddiviso in palline della dimensione di una noce, deve essere cotto sulla placca del forno, o in una teglia imburrata o foderata con carta da forno, a 180°C per circa 12 minuti. A cottura ultimata spolverate con abbondante zucchero a velo, aggiungendo se lo gradite qualche goccia di alchermes.

Tratto da Torte budini, biscotti e frittelle - 620 dolci della tradizione, Slow Food Editore

Beviamoci sopra!Il carnevale è momento di festa, di fritti e di bevute, come già raccontava Bruegel il Vecchio. E proprio pensando alle bevute, ecco i nostri consigli per abbinamenti di successo: questa volta, accanto al vino, proponiamo anche alcune birre, che non possono mancare nei momenti di festa.
Zagara - Birrificio Barley - Maracalagonis (Ca)Birra dal colore chiaro, prodotta con miele di arancio, di cui si sentono le note fresche e profumate. La sua moderata dolcezza e la bella gasatura la rendono perfetta con i dolci fritti del carnevale.
La Mancina - Birra del Forte - Pietrasanta (Lu)Nonostante l'elevata gradazione alcolica (7,5%) questa birra è estremamente piacevole. Le note dolci e floreali contrastano bene con le leggere speziature di luppolo, che la rendono perfetta per accompagnare frittelle di frutta.
Moscato di Terracina Amabile Templum 2011 - Sant'Andrea - Terracina (Lt) Forse poco conosciuto, questo vino bianco ha una grande aromaticità ed è ben bilanciato in dolcezza, acidità e sapidità, adattandosi molto bene ai fritti dolci.


Tratti da Slow Wine 2013 e Guida alle Birre d’Italia 2013 , Slow Food Editore

E dalle vostre parti come si chiamano i dolci tipici del carnevale? E di solito con che bevanda li accompagnate?? Aiutateci a completare l’ideale giro d’Italia dedicato ai dolci di questa festa!

Foto: Buari/flickr